Cari amici riporto >questo dispaccio ANSA< per fare alcune precisazioni. Chi ha avuto la possibilità di approfondire negli anni la vicenda Moro, attraverso la lettura di diversi libri, ultimo “Vuoto a perdere” di Manlio Castronuovo o attraverso studi diversi saprà che i tentativi rivolti alla liberazione di Aldo Moro da parte di mio padre sono agli atti sin dai primi giorni del rapimento del Presidente della DC, questo perchè Benito Cazora ragguagliava costantemente il Capo della Polizia ed il Ministero degli Interni.
In seguito fu ascoltato da diversi magistrati che però non ritennero necessaria la sua testimonianza in nessuno dei processi Moro ed inoltre non fu ascoltato in nessuna Commissione Parlamentare, ma altri lo citarono a seguito delle domande a loro rivolte da dette Commissioni. Tra questi c'è l' “emerito” Cossiga, che quasi con disprezzo ne storpiò il cognome quasi non sapesse di chi si trattava, aggiungendo che non lo aveva preso in debita considerazione poiché non lo riteneva all'altezza di tale compito.Il tempo (ogni tanto è galantuomo) gli ha dato torto, oggi chiunque ritiene Cazora come colui che forse più di ogni altri fece nel tentativo di portare alla liberazione di Aldo Moro.
Ora ricordiamo tutti che sotto il coordinamento di Cossiga sono passate sotto i suoi occhi P2, massoneria, servizi deviati e quant'altro, in quei 55 giorni egli si rese protagonista degli errori più grossolani, chiunque avrebbe fatto meglio e di più, ma egli si riteneva infallibile così ieri come oggi.
Desidero porre una domanda all'“emerito” Cossiga alla luce di quanto avvenne in quei giorni, visti i suoi reiterati interventi e le continue esternazioni non ritiene ora opportuno tacere per sollevarci dalle sue lezioncine da perfetto statista divenute non solo stucchevoli ma piuttosto inappropriate e scandalose? Come considera il suo comportamento riguardo l'amico Aldo Moro, tale da essere attribuito a persona totalmente incapace, o in malafede? Io propenderei per entrambe.
In seguito visti i suoi grandi meriti ha ricoperto prima il ruolo di Presidente del Consiglio ed in seguito dulcis in fondo Presidente della Repubblica, in questo Paese giustamente si premiano i migliori ed i più capaci, ma mi creda faccio enorme fatica nel riconoscere in lei tali peculiarità. La invito a convincere me e chi la pensa come me (sono tanti mi creda) del contrario.
Rimango in attesa di una sua coraggiosa risposta, visto che di coraggio ne ha poco, tempo fa disse di non voler raccontare oltre poiché nonostante la sua età non voleva essere ucciso, pensi a quanti non sono stati Presidenti della Repubblica e non godono della sua scorta e ciò nonostante rischiano la vita per lo Stato, forse un minimo di vergogna dovrebbe provarla ma non credo che questo sentimento le appartenga. Tanti auguri per quando incontrerà Dio ne ha davvero bisogno.
MORO:ULTIMA NOTTE DOVEVA ESSERE LIBERATO, TANTE CONFERME ANSA A 32 ANNI DA V.CAETANI, ‘QUALCOSA ACCADDE,FINÌ CON RENAULT ROSSA’ (di Paolo Cucchiarelli, ANSA)
Gli americani hanno un'espressione che calza: ‘La verità è come l'olio della corazzata Missouri’. Un modo di dire che paragona la verità alle bolle di olio che ancora affiorano ogni tanto nella baia di Pearl Harbour dall'ammiraglia Usa affondata dall'attacco aereo giapponese. Qualche frammento di verità sul caso Moro affiora ancora oggi, a 32 anni dall'uccisione dello statista Dc. Tanti frammenti importanti che confermano che Moro doveva essere rilasciato vivo il 9 maggio del 1978 e che qualcosa di imprevisto, non concordato, accadde quell'ultima notte. Elemento questo confermato negli anni dall'ammiraglio Fulvio Martini, numero due del Sismi all'epoca, dal terrorista Carlos detto ‘lo sciacallo’ e dall'esponente dell'Olp Assam Abu Sharif: il 9 maggio, oltre al pagamento di un riscatto, a Milano era in atto una complessa azione per la liberazione di Moro grazie allo scambio tra esponenti della Raf prigionieri di Tito e detenuti Br in mano all'Italia. Martini andò in Jugoslavia per prendere in carico i tre e portarli a Beirut, dove un aereo dei servizi segreti italiani aspettava in un angolo appartato dello scalo. La destinazione prevista era lo Yemen, base di Carlos. Una fazione del Sismi, ha raccontato due anni fa Carlos all'ANSA, cercò di salvarlo: alcuni brigatisti dovevano essere prelevati dalle carceri e portati in un Paese arabo, probabilmente per scambiarli con i tre della Raf in mano a Tito. Oggi arrivano nuove conferme dopo che l'esponente dell'Olp Assam Abu Sharif ha detto che la trattativa venne improvvisamente interrotta dagli italiani, come sostiene anche Carlos: «Avrei potuto salvare Moro. Nessuna imprudenza. Ho chiamato un numero, ho lasciato un messaggio dopo l'altro. Nessuna risposta. Davvero strano: una linea speciale e nessuno risponde...» ha detto al Corriere della sera nel 2008. Intervistate da Alessandro Forlani per la rubrica Rai ‘Pagine in frequenza’ per uno speciale di Gr Parlamento alcuni protagonisti lanciano la loro personale ‘bolla d'olio’ su quella ultima notte. Franco Mazzola, all'epoca sottosegretario alla Difesa: «Il governo non poteva trattare, ma poi trattavano tutti: la Dc, il Papa, la Caritas. Insomma, trattavano. È chiaro che se Tito si prestava ad un'operazione come questa, lo faceva con l'accordo del governo italiano. Certo, ne erano a conoscenza pochissime persone: diciamo Cossiga e Andreotti; l'ammiraglio Martini il 9 maggio andava a chiudere l'operazione, ma quelli non hanno aspettato». Umberto Giovine, allora direttore di Critica Sociale: «L'ammiraglio Martini mi parlò un giorno di questa operazione svolta in Jugoslavia; non mi meraviglia più di tanto che non vi faccia neppure cenno nel suo libro di memorie, nè che minimizzi in commissione Stragi: probabilmente si sentiva sempre vincolato dal segreto». Per il rapimento di Aldo Moro «tutto si giocò nelle ultime 48 ore», anzi «nell'ultima notte», quella tra l'8 e il 9 maggio del 1978 dice Claudio Signorile, all'epoca vice segretario del Psi. Agnese Moro: «Ad un certo punto si parlò anche di un possibile espatrio di mio padre, in cambio della liberazione; non ricordo chi ne parlò, se politici, magistrati o qualcuno dei servizi, comunque era un'ipotesi fatta anche da papà nelle lettere». Nuccio Fava, direttore del Tg1: il segretario di Paolo VI, Macchi, mi disse che il Papa era molto dispiaciuto che Moro avesse scritto che lui aveva fatto ‘pochino’; e aggiunse che Paolo VI era pronto ad ospitare Moro in Vaticano, mettendo in piedi una commissione indipendente, che tenesse in custodia il prigioniero e definisse una trattativa tra governo italiano e Br; della commissione avrebbero fatto parte la Croce Rossa internazionale, la Mezza Luna Rossa algerina e altri soggetti neutrali. Macchi disse anche che il dolore per quanto era successo aveva accelerato la dipartita di Paolo VI«. Padre Carlo Cremona, segretario di Macchi: »Padre Macchi, se faceva qualcosa andava fino in fondo; quella mattina era contento, come se avesse raggiunto il suo scopo, come se una promessa fosse stata mantenuta; mi disse di stare attento al telefono, perchè avrebbe dovuto chiamare una persona, che avrebbe fatto da mediatore con le Br. Questa persona avrebbe dovuto dire che la trattativa era andata in porto, e che Moro, come d'accordo, avrebbe incontrato una persona amica, forse Mennini, che lo confortasse, lo facesse salire su un'auto e lo portasse in Vaticano, libero. Io rimasi al mio posto, ma arrivò solo la notizia che il cadavere di Moro era stato trovato«. Corrado Guerzoni, segretario di Moro: »Che le Br abbiano fatto tutto da sole corrisponde ad una lettura sempliciotta del sequestro Moro; secondo me, hanno gestito un appalto«. Sereno Freato, tra i più stretti collaboratori dell'allora presidente della Dc: »Liberare Moro avrebbe costituito un grande vantaggio per le Br: a mio avviso è arrivato un ordine dall'alto. Forse Moro è stato, come scrive, liberato dalle Br e consegnato a X o Y, qualche settore deviato delle istituzioni o dei servizi internazionali: le Br hanno fatto da pali. Forse Moro ha riconosciuto qualcuno; è giusto dire che quella notte del 9 maggio tante cose sono accadute, che non sappiamo«. Una ulteriore conferma viene da Marco Cazora, figlio di Benito, deputato Dc che aveva cercato di aprire una canale di trattativa con ambienti della malavita romana che sostenevano di aver scoperto la prigione di Moro. Di fronte alle sue insistenze per un intervento delle forze dell'ordine, Cazora si sentì rispondere da qualcuno »molto importante«: »Smettila di darti tanto da fare, tanto quello martedì è libero«. Era sabato. Il figlio di Cazora ricorda anche quanto riferito da Cossiga in commissione Stragi nel '97 cioè che Andreotti gli disse, la sera dell'8 maggio, di sperare in una soluzione positiva. L'indomani la Renault rossa era in via Caetani.
Per chi ha avuto la pazienza di leggere il mio precedente pezzo “L'insostenibile leggerezza dell'ipocrisia” quello che tenterò di fare oggi vuole essere un ricapitolare di quanto è avvenuto da allora sino ad oggi nella speranza di chiarire quanto più possibile la verosimilitudine di quanto scritto allora con quanto è in atto oggi.
Circa un anno fa ipotizzavo la possibilità di un golpe democratico voluto da oltreoceano, tale progetto era condizionato secondo il mio pensiero dal comportamento di Berlusconi e dalla mancanza allora di un'alternativa di governo. Cercherò ora di mettere insieme una serie di accadimenti che possono in qualche modo far pensare che la realizzabilità di quel progetto si faccia ogni giorno più concreta.
A luglio dello scorso anno ci trovavamo nella situazione in cui vi era una maggioranza di governo fortissima nei numeri e solidissima nella realizzazione dei propri disegni grazie anche all'unità interna che regnava sovrana, dall'altra parte una opposizione sempre più disgregata ed alla ricerca di una identità che desse alla gente un'immagine di maggiore coesione che portasse alla definizione di un programma che sapesse guardare con concretezza al futuro proprio e del Paese.
Da allora qualcosa è cambiato e sta cambiando: i sempre maggiori “accanimenti giudiziari” nei confronti del Presidente del Consiglio; che vanta di essere l'uomo più perseguitato del mondo hanno portato sempre maggiore confusione all'interno del PdL, tanto da portare Gianfranco Fini in qualità di Presidente della Camera a continui richiami nei confronti del Governo che troppo spesso faceva uso di d.d.l., oltre a innumerevoli voti di fiducia che a suo dire sminuivano il ruolo e le prerogative del Parlamento. I continui richiami da parte di Berlusconi nell'enfatizzare la lealtà ed i rapporti con la Lega hanno nel tempo logorato quella che era nata come un alleanza indissolubile tra FI ed AN che avevano dato di “comune accordo” nascita al Partito della Libertà.
I mesi trascorrono in un clima di continua campagna elettorale che Berlusconi vive con acredine non solo nei confronti dell'opposizione ma anche all'interno del suo partito (non dimentichiamo la vicenda della lista presentata a Roma) frutto sicuramente di una spaccatura che fa da preludio a quanto avverrà in seguito.
Dopo la “vittoria” alle regionali si ipotizza per il Governo un periodo di lunga tranquillità per poter effettuare le riforme desiderate dato che non ci sono in vista più campagne elettorali, ma ecco che all'improvviso qualcosa va storto ed inaspettatamente Fini decide di dar voce ad un dissenso concreto all'interno del partito e non più solo istituzionale. La rottura prende la via definitiva durante la direzione nazionale del PdL anche se quella altro non è che la conseguenza di una spaccatura avvenuta nei giorni precedenti tra gli appartenenti al gruppo ex AN. Fini indice una riunione dei suoi a Roma mentre a Milano il Ministro La Russa con altri appartenenti al gruppo si manifesta rendendosi firmatario di un'alternativa che prende totalmente le distanze da Fini appoggiando in pieno Berlusconi. Proprio ieri lo stesso La Russa ha a sua volta creato una sorta di nuova corrente fondando la “Nostra destra”.
Fini a questo punto si trova in minoranza ma dichiara che appoggerà comunque con grande lealtà la coalizione di Governo. Da quel momento in poi diverse cose accadono, Italo Bocchino si dimette da vice capogruppo alla Camera e lo fa sostenendo che è stato minacciato di ritorsioni da parte di Berlusconi al contempo non fa altro che ripetere quasi come portavoce di Fini che se pur in minoranza all'interno del partito manifesteranno le proprie proposte ma si adegueranno al volere della maggioranza, ma cosa accadrà quando Berlusconi riproporrà leggi ad personam e loro non saranno d'accordo e non si adegueranno? Temo che la questione sia più complessa di quanto appaia anche perchè sono dell'avviso che da troppo tempo Fini abbia ormai una irreversibile intolleranza alimentare verso sua santità Berlusconi e che le bolle dovute all'allergia non possano più essere celate da un velo di fondotinta politico.
Ieri per continuare giungono le dimissioni del Ministro Scajola travolto dall'onda ormai rimasto senza respiro, passa inosservata la notizia di Ciarrapico indagato per truffa ai danni dello Stato. Oggi abbiamo altre novità il coordinatore del PdL Denis Verdini si scopre essere indagato per corruzione e per non farsi mancare nulla il grande moralista Storace viene condannato ad 1 anno e 6 mesi per il Laziogate.
Detto ciò voi penserete che sia finita qui, ebbene se vi dicessi che questo è solo l'inizio di un lungo percorso che porterà a ben altre conseguenze? Circa un anno fa scrissi che Berlusconi secondo i piani previsti da altri sarebbe andato via con le buone o le cattive, io credo che gli avvenimenti sopra descritti altro non siano che la messa in atto di un programma volto a spodestare una volta per tutte un uomo che poco piace al mondo internazionale ma soprattutto agli amici di oltreoceano. Quello che sempre un anno fa asserivo circa l'esecuzione di un golpe democratico, prevedeva la necessità di un ricambio politico che certamente ai più non appariva possibile, bene proviamo con un atto di grande fantasia oggi ad ipotizzarlo. Cerchiamo di immaginare una forza di “grande centro” composta da Casini-Rutelli e le ali più moderate del PD più i Finiani, cosa accadrebbe? che gli italiani secondo le loro caratteristiche si ritroverebbero un nuovo agglomerato moderato che loro tanto amano in contrasto con forze che a questo punto si troverebbero agli estremi come la Lega per esempio e parte del PdL. Se fino ad ora Berlusconi ha potuto fare la spesa tra gli ex di AN cosa accadrebbe in quel caso?
Io prevedo un drammatico sisma all'interno del PdL con prospettive non proprio allettanti e rassicuranti nei confronti di chi difende il sire. La svolta sarà pesante ma da oggi sino ad allora mi attendo colpi di scena eclatanti che potrebbero colpire anche coloro che si sentono più al sicuro rispetto ai soliti noti. Berlusconi è ancora in tempo per uscirne a testa alta ma la presunzione e la ormai acclamata e sintomatica megalomania glielo impediscono, a lui la scelta a lui le conseguenze agli italiani forse un inatteso mondo nuovo cui confrontarsi.
Un pensiero mi circola per la testa da quando la vicenda Scajola (ed il relativo appartamento “vista” Colosseo) ha preso consistenza fino a portare alle dimissioni del Ministro per lo Sviluppo Economico. Non entrando nel merito della questione e cioè sulla colpevolezza o meno del Ministro nell’aver acquistato casa usufruendo di un “aiutino” probabilmente legato ad attività illecite, voglio affrontare la notizia dal punto di vista del marketing.
C’è il problema che un uomo di punta del Governo possa arrecare un danno d’immagine alla sua parte politica proprio nel momento in cui nel Paese si leva un grido verso la questione morale. Un calo d’immagine può portare ad un calo di consensi e poiché questa politica si richiama sempre più spesso, come giustificazione di se stessa, all’elettorato non si può correre il rischio di vedersi sottrarre punti di audience che rappresentano una giustificazione, quasi una benedizione, dei comportamenti dei singoli e dei partiti. Per cui si decide di mettere un attimo nel congelatore la questione per toglierla alla vista della tavola imbandita dei governanti. Ed il marketing consiglia che quando un prodotto non ha incontrato i favori del suo pubblico di riferimento è meglio non parlarne ai clienti e se questi proprio chiedono notizie sul perché un articolo sia sparito dal listino, si può sempre dire che l’azienda ha un nuovo prodotto ancora più avanzato nato proprio dal successo del precedente e che a breve lo sostituirà…
Il 4 maggio, Il Giornale scrisse: “Scajola chiarisca o si dimetta”, quasi a sottintendere “Non possiamo tollerare che nel Governo possano esserci personaggi sulla cui onestà non si possa mettere la mano sul fuoco”. Scajola si dimette con la solidarietà del premier e con la motivazione che così potrà sottrarsi alla gogna mediatica e difendersi con più tranquillità.
Bene, dico io. Anzi male, malissimo. E non perché l’ex Ministro sia colpevole o innocente che nella mia valutazione conta davvero poco. Ma perché questo gesto dà l’impressione di un cambio di rotta che non esiste e che non esisterà mai. Chi viene “beccato” mediaticamente, paga. Gli altri ricevono una bella benedizione e magari possono anche esporsi a commenti dall’alto della loro integrità.
I giornali lo hanno ricordato in questi giorni, ma è opportuno sottolinearlo ancora una volta. Nel 2000 il Ministro dell’Interno Enzo Bianco indicò Marco Biagi tra gli obiettivi potenzialmente a rischio e gli assegnò un servizio di protezione. Nel 2001, Claudio Scajola era Ministro dell’Interno da non molto e dispose una riduzione del 30% dei servizi di scorta. Queste riduzioni interessarono anche il Prof. Biagi che con diverse email, pubblicate dopo il suo assassinio da Repubblica, chiedeva il ripristino della protezione in quanto continuava a ricevere minacce.
Il 29 giugno 2002, il Corriere della Sera, pubblicò un’intervista al Ministro Scajola (in visita a Cipro per un accordo sulla rispedizione al mittente di immigrati clandestini) nella quale, testualmente, così descriveva il Prof. Biagi e le sue richieste: «Non fatemi parlare. Figura centrale Biagi? Fatevi dire da Maroni se era una figura centrale: era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza» Naturalmente tali dichiarazioni inasprirono le polemiche (corsi e ricorsi storici?) e pochi giorni dopo Scajola fu costretto alle dimissioni. Quindi, un gesto morale, si direbbe.
E invece l’Asta Tosta delle poltrone, nell’agosto del 2003 assegna a Scajola la carica di Ministro per l’Attuazione del Programma. Facendo tesoro del sempreverde Marketing, facciamo sparire per un po’ il prodotto dallo scaffale, poi gli rifacciamo l’etichetta lo spostiamo di target e lo riproponiamo tale e quale. Tanto chi se ne accorge e, soprattutto, chi se ne frega?
Morale di che cosa, allora?
Vi sembra normale che un Ministro dell’Interno che definisce un “rompicoglioni” un servitore dello Stato che paga con la vita il proprio servizio alle riforme che tutti invocano, ma solo quando non si possono fare, non passi il resto della sua vita a coltivare fiori o a collezionare calciatori del Subbuteo?
Gianadelio Maletti riprese da due testate giornalistiche in questi giorni, anche se a dire il vero lo stesso Maletti le stesse cose le disse a La Repubblica nello scorso anno e inoltre durante il processo riguardante Piazza Fontana ed ai PM per la strage di Piazza della Loggia a Brescia.
Entrambe le dichiarazioni sono state rese da Maletti grazie ad un salvacondotto che gli ha permesso di tornare in Italia da latitante, già perchè egli che deve scontare oltre 15 anni di carcere e dall' '80 è ormai residente e cittadino in Sud Africa.
La storia di Maletti è lunga e complessa egli è un uomo ormai di oltre 80 anni, di conseguenza sarebbe utile ma tedioso entrare in mille rigoli di particolari, cercherò quindi di riassumere i punti per me salienti, che daranno a chi legge l'idea di ciò che da sempre accade nel nostro Belpaese.
Secondo Gianadelio Maletti numero 2 del SID e considerato molto vicino a Giulio Andreotti (quando il numero1 era un certo Vito Miceli) entrambi iscritti alla P2 di Licio Gelli anche se il primo lo nega, l'Italia è sempre stata sotto l'egida degli USA attraverso la CIA non solo dal punto di vista economico come possiamo tutti ben immaginare, ma soprattutto per quanto riguardano l'aspetto politico e militare.
Il generale Gianadelio Maletti
Ciò che racconta il Gen. Maletti, è semplicemente raccapricciante, sconvolgente e lascia chi lo legge completamente senza parole in special modo per la tranquillità dei modi usati come se si esprimesse riguardo argomenti normali o di tutti i giorni. Quello che riporto è in termini semplici l'essenza di ciò che Maletti racconta e che è frutto di pratiche internazionali messe in atto come se ciò appartenesse ad un modus vivendi quotidiano. Secondo quanto riportato dal Gen. Maletti, l'italia è sempre stata la vittima-complice perfetta per realizzare i loro (USA) desiderata dal punto di vista politico nella prospettiva di spostare a destra l'asse politico ed ideologico del nostro paese. Come realizzare e mettere in atto tutto questo? Attraverso una strategia della tensione e del terrore che inducesse gli italiani a cercare un riparo sicuro,che non fosse di certo il PCI, ma bensì forze politiche centriste od anche nazionaliste in grado di garantire quella stabilità e certezza del rigore cui aspiravano condizionati dalla messa in atto di stragi che terrorizzavano il paese in momenti diversi della nostra storia repubblicana. Cosa sconvolge ed emerge dalle confidenze di Maletti che gli artefici di tali strategie sono sempre stati non forze estremiste di destra o di sinistra non servizi segreti filo israeliani o filo arabi, non l'Unione Sovietica o Paesi a loro vicini, ma bensì i nostri più stretti e cari alleati:gli Americani. Essi decidevano quando fosse necessario intervenire ed in che modo a seconda del clima politico che l'Italia attraversava, ma lasciando con immensa generosità a noi italiani decidere il luogo, le modalità e gli esecutori materiali, secondo Maletti ci si serviva soprattutto della destra eversiva ovviamente sotto la supervisione dei nostri servizi. Tale notizia affermata da chi ha vissuto nel più intimo e macabro lo scorrere di quelle vicende (lo stesso era addetto militare in Grecia quando la Grecia diventò dei Colonelli) dovrebbe far sobbalzare dalla sedia chiunque l'ascolti, dovrebbe sconvolgere le menti anche dei più moderati, dovrebbe portare a dire visto l'enormità della cosa “ma è uno scherzo?” Ed invece il nulla nessun TG ne parla, nessuno ne da seguito e soprattutto nessun uomo politico smentisce di esserne a conoscenza, lo stesso Maletti afferma che i nostri Presidenti della Repubblica i nostri Presidenti del Consiglio e chissà quanti altri ne erano perfettamente al corrente. Cosa avrebbero potuto fare in tutti questi decenni? Ribellarsi? Quando mai se l'”emerito” Kossiga tempo fa affermò di non voler parlare per paura di essere ucciso. Come li vogliamo considerare vili, complici o vermi? In nome di quale ragion di stato si permette che vengano uccise nel nostro Paese centinaia di persone? Pensate che chi era a Piazza Fontana o della Loggia, sull'Italicus o alla stazione di Bologna sull'aereo che li avrebbe dovuto portare a Palermo e si fermò ad Ustica avessero questa gran voglia di morire? La parola schifo è stampata sulla bandiera del nostro Paese ed ora voi che sapete cosa direte ai familiari delle vittime dopo decenni? Sapevamo ma i vostri cari non contavano nulla, oppure ripensate a quante stronzate illusorie avete portato avanti creando un briciolo di speranza in chi cerca ancora oggi di sapere, una crudeltà senza limiti.
Chi mai potrà perdonarvi per aver assistito in silenzio ed esservi asserviti con i vostri mezzi all'Amico Americano? Con quale faccia avete se lo avete fatto mai guardato lo sguardo di un parente di una vittima? Con quale candore guardate alla vostra coscienza? E non ci è concesso di dire nulla perchè altrimenti siamo considerati antiamericani, vilipendio! Cari signori è giunta l'ora, la vostra, se voi proprio voi che vi battete il petto non chiederete perdono e vi affrancherete una volta per tutte dal vostro servilismo beh allora preparatevi e temiate il giudizio divino sempre che prima non ci sia quello del popolo.
come ogni 9 maggio Lei si starà preparando a ricevere le famiglie dei caduti durante gli “anni di piombo” per celebrare con loro la giornata della memoria delle vittime del terrorismo. E’ importante che un Paese non perda la memoria anche dei propri anni più bui e mantenga alto il rispetto dei tanti che hanno sacrificato le proprie vite nella difesa dello Stato o di simboli e strumenti della democrazia.
Fino ad ora, però, le precedenti ricorrenze sono apparse più come delle convention di marketing che dei momenti di “presa di coscienza” e di superamento del dolore sul piano individuale.
C’è una parola che deve necessariamente accompagnare il termine “memoria” altrimenti questa resta un momento individuale di dolore che andrà presto perso lasciando spazio alla semplice compassione. E questo termine è Storia (con la S maiuscola, non è un errore).
La Storia, si impara sin dai banchi di scuola, la scrivono i vincitori. Gli anni ’70, i nostri anni ‘70, sono stati raccontati solamente da chi ne è uscito sconfitto e ha pagato (più o meno completamente) il proprio debito con la società. Storici, giornalisti, osservatori e, soprattutto, familiari delle vittime non trovano però esaustive quelle parole, ritenendo che vi siano ancora troppi “buchi neri” di cui gli ex terroristi non parlano e che lasciano ancora troppe ombre sulle responsabilità di tante morti.
Evidentemente quei racconti, pur numerosi e forniti da più punti di vista, non sono sufficienti a chiarire fino in fondo come andarono le cose nel nostro Paese. Perché? Semplice. Perché loro, gli ex terroristi, hanno parlato di ciò di cui potevano parlare, un racconto dal loro punto di vista che, evidentemente, non è bastato per conoscerla tutta la verità. Ci manca quel Dark side of the moon che non potrà mai venire dagli ex semplicemente perché non è loro responsabilità diretta. E quindi, come dice Curcio in una famosa intervista, dovrebbero fare delle chiamate di correità non avendo “le parole e le prove” per farlo.
Come uscirne? Sarebbe semplice se il nostro Paese avesse davvero la volontà di uscirne. Ma io credo che non ne abbia nessuna intenzione. Più semplice utilizzare il dolore che essere disposti a fare i conti con un passato che, forse, tanto lontano non è. Torna sempre utile un mistero quando si può, a seconda dell’occasione, scaricarne la colpa all’uno o all’altro.
Se Lei, Signor Presidente, fosse di avviso contrario, e volesse davvero utilizzare il 9 maggio 2010 come inizio di uno sparti-acque che ci traghetti verso una società più matura una cosa la può fare concretamente.
Qualcuno che in quello Stato ricopriva ruoli importanti, ha forse una certa disponibilità a raccontare un ulteriore pezzetto di verità che riguarda aspetti fino ad ora mai chiariti relativi a quello Stato che Lei, oggi, si trova a rappresentare nel cuore e nell’anima di tutti gli italiani. Gianadelio Maletti, Generale del SID, direttamente coinvolto nelle strategie di quegli anni, ufficialmente latitante dal 1980 per la giustizia italiana condannato a 4 anni per favoreggiamento nel processo per la strage di piazza Fontana, ha ribadito (lo aveva già detto nel 2000 in un’intervista a Repubblica) il ruolo della CIA negli anni delle bombe e delle stragi. Pochi giorni fa, invece, si è anche espresso sulla vicenda di Aldo Moro sostenendo che i brigatisti avevano fatto un colpo troppo grosso e allora era impensabile che non si potessero mettere in mezzo forze molto differenti che, probabilmente, ebbero un ruolo determinante nel condizionare la morte del Presidente della DC.
Cose gravi, gravissime, che in qualsiasi Paese avrebbero provocato aperture di TG nazionali, quotidiani. Avrebbero “costretto” la magistratura ad interessarsi del caso, a verificare, approfondire. Invece in Italia, Panta Rei, tutto scorre. Scorre sul velo dell’indifferenza della gente comune, del silenzio di coloro che sono chiamati in causa e, stranamente, sembra non interessare più di tanto neanche i familiari dei caduti.
Facciamolo questo sforzo. Si faccia ricordare come il primo Presidente che ha avuto il coraggio di guardare in faccia alla realtà e se siamo stati colonia, non fa niente. Ma almeno si potesse ammetterlo apertamente, sapere che la “ragione di Stato” non è un concetto astratto ma un muro invisibile che nasconde il dolore, la dignità di un popolo.
Quando non ci sono più le condizioni storiche, i muri cadono. E quando cadono possono provocare ulteriori dolori, è vero. Ma restituiscono la dignità, danno una speranza.
“Dobbiamo insomma aver cura che si rafforzino tutte le condizioni indispensabili per portare avanti, per portare a compimento un giusto sforzo di ricomposizione storica, nella chiarezza, e di rinnovata coesione umana, morale e civile della nazione.” 9/5/2009 – Discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel "Giorno della Memoria" dedicato alle vittime del terrorismo.
E allora, caro Sig. Presidente, le dica queste nuove parole il 9 maggio. Non si immetta nel solito algoritmo ricorsivo di richiesta indefinita della verità. Non chiediamola ma cerchiamola questa verità. E cominciamo da quello che hanno da dire coloro che erano dall’altra parte della barricata, che avrebbero dovuto difendere le Istituzioni. Sono sicuro che una volta rotto l’argine, il fiume scorrerà generoso e darà nuova prosperità alle future generazioni.
PS. Eccovi i due video dell'intervista al Generale Gianadelio Maletti fatta da tre giornalisti Andrea Sceresini, Nicola Palma e Maria Elena Scandaliato che sono andati in Sudafrica e che dalla loro esperienza hanno tratto il libro "Piazza Fontana, noi sapevamo" (Aliberti Editore)
“Comunicare è alla base, ma chi è all’altezza?” Con questo slogan, alcuni anni fa, la trasmissione Il Comunicattivo di Igor Righetti poneva in maniera molto efficace la questione della “società della comunicazione”.
A partire dagli anni ’80 l’importanza della comunicazione è progressivamente aumentata e ha invaso tutti i settori e a tutti i livelli. Ma con una terrificante deformazione che, anche questa, si è esponenzialmente amplificata sino a giungere al paradosso di far coincidere la comunicazione con il fatto stesso di apparire.
Parla e sparla chiunque, si parla e si sparla di qualsiasi cosa. Io sfido molti a riepilogare i concetti espressi in una qualsiasi trasmissione televisiva, che tratti qualsiasi argomento: non si riesce più ad ascoltare, ma solo a sentire suoni. La tecnica non è quella di comunicare ma più semplicemente scomunicare, nel senso di parlare sull’altro, contro l’altro in una sorta di braccio di ferro dell’ugola o per dimostrare chi ce l’ha più grosso (il tono della voce).
Qualche anno fa mi fece molto sorridere un tentativo di moderazione attuato dal “grande” Biscardi che, in un certo senso, ha inventato un nuovo modo di comunicare lo sport attraverso il giornalista-tifoso. In un momento di “rissa” verbale del tipo curva nord-curva sud intervenne in maniera seccata con un perentorio: “Basta, basta. Parliamo al massimo due per volta senò non si capisce niente!”. Un mito.
Ma evidentemente Biscardi aveva capito tutto, aveva compreso che lo spettacolo andava oltre l’informazione, che al tifoso, in fin dei conti, non interessava un’analisi compita e precisa della partita (alla Brera o alla Tosatti, per intenderci) ma solo che alla fine dell’ambaradan la sua fede calcistica avesse avuto la meglio e quindi che il suo “rappresentante” sul palco avesse urlato una volta di più rispetto all’avversario “ci hanno rubato 3 punti!”.
I media (nuovi e semi-nuovi) hanno certamente arricchito il nostro patrimonio (anche se francamente hanno arricchito molto di più le tasche di rampanti imprenditori, ma questo è un altro discorso…) e ci offrono ogni giorno nuove opportunità. Purtroppo, però, i televisori non sono accompagnati da un “manuale d’uso sociale” e non esiste nemmeno una patente per chi produce i contenuti o per chi li guarda. Dobbiamo navigare a vista. E per questo è più facile che emergano e prendano piede fenomeni da baraccone che ci appiattiscono verso una visione della realtà che non è reale. Cosa c’è di meno reality di un reality? Dubito che nelle nostre case, nelle nostre scuole si possano vivere situazioni da Grande Fratello, Isola dei Famosi o Fattoria. Ma quello che conta è l’effetto: nella società quelli diventano i nuovi modelli, senza mediazioni. La comunicazione è diventata un grande business e chiunque abbia uno straccio di telecamera o freepress lo sa benissimo. Sa benissimo del potere di cui dispone che, per quanto piccolo, riesce ad ottenere molte chiavi di accesso ed una possibilità di entrare nella testa delle persone. E lo sanno anche i potenti di turno, in questa partita doppia della complicità mediatica.
Qualcuno dirà che adesso c’è più vivacità, che prima era tutto piatto, noioso. Ma io non concordo. Semplicemente prima la comunicazione era “comunicazione”. Adesso è spettacolo e quella che abbiamo costruito negli ultimi 30 anni è la società dello spettacolo (che a sua volta si basa sull’immagine). Lasciamola stare al suo posto la comunicazione, nel camposanto.
Prendiamo la RAI del passato. Nei filmati d’epoca ci sembra di assistere ad un’altra era che fatichiamo a collocare solo qualche decennio addietro. E’ vero che i TG erano semplicemente radio-giornali ripresi da una telecamera, ma le tribune politiche erano dei dibattiti in cui ci si confrontava con educazione tra avversari politici che sapevano comunicare, eccome. Avevano le idee chiare, rispondevano alle domande, si difendevano dalle critiche e dagli attacchi extra-politici. Ma utilizzavano i contenuti per convincere il telespettatore. E qui viene il punto. I contenuti. Sebbene i padri fondatori della nostra Repubblica fosse degli ottimi comunicatori (non nel senso della spettacolarizzazione della propria immagine) il focus dei loro interventi erano i contenuti. Poi il telespettatore-elettore decideva, anche sulla base di una divisione ideologica allora molto più forte di oggi, ma sempre avendo la certezza di aver ascoltato e capito le ragioni degli uni e degli altri.
Tecnicamente, la comunicazione è una leva del marketing. Questo è ciò che un centinaio di anni di business moderno ci ha insegnato. Leva nel senso che è uno strumento in grado di veicolare il valore di un qualcosa e di convincere chi da questo valore ha qualcosa da guadagnarne. Ma non è “l’unico strumento” e nemmeno “lo strumento”. Prima di pensare alla comunicazione occorre pensare a quello che si intende proporre con la comunicazione. E questo chiunque lo sa. Ma poiché l’obiettivo della società dello spettacolo è sempre stato quello di stupire con effetti speciali, essere fantascienza più che scienza, non mi stupisce che in pochi abbiano un “progetto di comunicazione” che risponde a dei valori personali, politici, imprenditoriali.
Ecco perché mi arrabbio quando si parla di “società della comunicazione”. La comunicazione ed il marketing sono una cosa seria che ci aiutano a informarci, capire, scegliere sulla base di ciò che corrisponde meglio ai nostri valori. Questa è una società spettacolo che ci priva del nostro sistema di valori condivisi, che ci toglie la libertà di decidere nella cieca convinzione che valga più un provino al Grande Fratello che un impegno continuo e costante nel costruire, giorno dopo giorno, quel bagaglio personale che dovrebbe accompagnarci nel lungo viaggio attraverso la nostra esistenza.
Pensieri Vagabondi sono anche quelli che ti frullano in testa nel giorno che vede Fini immolato sul grande altare della “non politica”. Con Berlusca furioso, Bossi minaccioso e tutti gli altri agitati da un solo timore: come non perdere la poltrona. L'ex faxista per un improvvido destino si trova da qualche tempo a interpretare il ruolo dell'unico politico very democrat su piazza. Il più fedele ai dettami di quella costituzione che il suo (ex?) alleato di governo si ostina a considerare “vetero-comunista”. E pensare che Berlusconi, rispetto a Fini, era uomo di centro, erede di Craxi, socialista d'antan. Come può un ragazzo di oggi, per quanto informato, comprendere l'aspetto paradossale di questa vicenda? In realtà non è chiaro a nessuno dove andrà a parare il Pdl, inutile e retorico il dilemma: “Mi spacco o non non mi spacco”? Si spaccherà, anzi è già spaccato.
Trovo singolare che ciò accada a ridosso dell'ultima tornata elettorale del centro destra che sì ha un po' penalizzato Berlusconi, ma che vede complessivamente rafforzata la coalizione. Che Fini voglia imitare Veltroni? Come andò a finire s'è vist. Ma forse stavolta è diverso, chissà. Ah, non ignoriamo la tesi secondo cui alcuni poteri- misteriosamente definiti forti- abbiano in qualche segreta stanza deciso di liquidare il Cavaliere- un po' troppo filo-arabo, un po' troppo filo Putin, un po' filo cazzi suoi- e la scelta sarebbe caduta su Fini, l'uomo nuovo della Destra Moderna (come egli stesso si è autodefinito mentre a nessuno sfugge che egli sia il più vecchio dei leader attuali, uno dei pochi che conosca le regole della politica) . Come andrà a finire nessuno può dirlo, ma è evidente che chiunque intendesse cercare un'alternativa all'attuale sistema di potere- non potendo trovare a sinistra l'uomo nuovo che non c'è- non poteva che impattare nel tenebroso leader di Alleanza nazionale, l'unico in grado di appellarsi a quelle tetre maggioranze desiderose di ordine che la destra è ancora in grado di mettere insieme per fare da argine ai baccanali di Villa Certosa, alla folla di papponi baresi, escort napoletane, farfalline romane e quanto altro. E c'è chi ha già in testa il futuro asset che vedrebbe fiorire attorno a Fini, Rutelli, Casini, Montezemolo la nuova maggioranza.
Se sono rose....non riesco purtroppo a entusiasmarmi per nessun tipo di destra né antica, né moderna, né morigerata né altro. Sono figlia dei tempi miei, non so che farci. Ho capito una cosa però: se è vero che la politica è una scienza esatta, la somma tra le forze in campo non è mai aritmetica. Senza un progetto politico, senza un leader trainante non può esserci maggioranza. Tutti finora sembrano avere avuto un unico problema: sputtanare B. invece che sconfiggerlo politicamente . Se lo scandalo fosse stata un'arma vincente Berlusconi avrebbe dovuto essere sconfitto alle ultime elezioni, invece non è andata così (anche se ha perso un bel po' di voti). La scesa in campo di Fini serve proprio a questo: imporre a Berlusconi il confronto su un terreno che non è il suo forte: la politica.Niente sarà più come prima anche se la costruzione di un'alternativa politica non appare semplice né agevole.
Non dovete stupirvi per questo mio esordio su un tema politico, apparentemente distante dai miei abituali interessi. Forse più legati all'iniziale ascesa di Berlusconi, ai cupi anni delle stragi, al mistero della sua fortuna economica, ai rapporti con i vari Mangano e Dell'Utri, alla nascita dei club di Forza Italia che hanno evocato il piano di Rinascita Nazionale. Non mancherà occasione per approfondire tutti questi argomenti, ma la prima volta mi è sembrato doveroso partire dalla fine. O da quello che sembra essere l'inizio della fine, la scesa in campo di Fini. Per capire davvero “c'èst Fini” oppure no.